Il "decalogo" nella tradizione biblica
Decalogo è una parola che viene dal Greco e significa "10 parole". Esso fa riferimento alle "parole" che Dio ha consegnato a Mosé sul Monte Sinai, come segno dell'alleanza tra Lui e il popolo di Israele. Il decalogo biblico, dunque, nasce in un contesto religioso e le norme etiche che esso pronuncia sono premesse dalla frase "Io sono il Signore Dio tuo, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù" (Es 20,2).
Le Dieci Parole sono riferibili a due tipi di doveri: verso Dio (i primi tre: adorare un solo Dio, non nominarlo invano, santificare la festa del sabato) e verso il prossimo (gli altri sette: onorarei genitori, non attentare alla vita del prossimo, non tradire il coniuge, non rubare, non testimoniare falsamente, non invidiare gli affetti e i beni degli altri).
Non sono queste dieci parole a definire la rettitudine di tutti i comportamenti umani, esse stabiliscono tuttavia i valori cardini, dal cui rispetto bisogna partire per avere una vita morale. Gesù non ha abolito la Legge (Thorà) delle Dieci Parole, ma ha ribadito che la loro osservanza non deve essere un fatto semplicemente legalistico, ma piuttosto obbedienza al precetto dell'amore (Mt 5) e anche superamento della "giustizia umana" (occhio per occhio, dente per dente) in un'ottica imitativa dell'Amore divino da Lui rivelato (amore ai nemici).

Il film: IL DECALOGO 1 *** (DEKALOG JEDEN)
Genere:Drammatico
Regia: Krzysztof Kieslowski
Interpreti: Henryk Baranowski (Krzystof), Wojciech Klata (Pawel), Maja Komowska (Rena) Nazionalità:Polonia
Distribuzione: Mikado Film
Anno di uscita: 1990
Sogg.: e Scenegg.: Krzysztof Piesiewicz, Krzysztof Kieslowski
Fotogr.: (normale/a colori) Wieslaw Zdort
Mus.: Zbigniew Preisner
Montagg.: Ewa Smal
Dur.: 55'
Produz.: Telewizja Polska, Warzawa, Sender Freies Berlin, Berlin


Decalogo 1 si inserisce all'interno di un'opera più ampia che affronta tutti e dieci i comandamenti; potrebbe considerarsi in realtà un episodio, il primo, di un grande film di circa dieci ore. E' un film realizzato per la televisione polacca. Nato dall'idea di Krzystov Piesiewicz, un avvocato polacco oppositore dell'allora regime comunista e girato da Krzystov Kieslowski tra il 1988 e il 1989 (anno della caduta del muro di Berlino), ogni episodio si basa su di una sceneggiatura scritta "a quattro mani", dalla quale poi il film a volte si discosta. Kieslowski è infatti regista che procede "in levare", come uno scultore.
La durata di ogni film è standard, 60 minuti, mentre la modalità di narrazione è quella tipica dei "casi giudiziari", nei quali si contrappongono due possibili interpretazioni. Gli autori, partendo da una prospettiva aconfessionale o laica prendono spunto dalle Dieci Parole bibliche per impostare un discorso globale sull'uomo: non tanto cercando di rispondere a delle domande quanto riformulandole in maniera scabra, semplice, ma corretta.
Kieslowski sembra accogliere il valore assoluto delle Dieci Parole come fondamento etico di ogni società. Il regime comunista sta per concludere in Polonia la sua parabola, quando questo regista propone quasi le nuove basi della società che deve rinascere da quelle ceneri. Ma, ed ecco il fascino di questa cinematografia, il regista non si permette alcun giudizio. "Se Kieslowki ci proponesse una morale, ci chiuderemmo, se raccontasse semplicemente delle storie, non ci colpirebbe così profondamente. E invece ci resta un groppo in gola, un silenzio, segno che l'anima si è mossa. Kieslowski, infatti, ci propone delle questioni, delle situazioni di fronte alle quali non abbiamo scampo, dobbiamo scegliere, possiamo sbagliare e nessuno può rassicurarci e dirci che abbiamo fatto bene o male. E' questo che ci angoscia vedendo questi dieci capolavori, tutte le nostre scuse, le nostre insicurezze, le nostre meschinità, le nostre debolezze vengono fuori e ci lasciano disarmati di fronte alla vita."(Dal libro "Testo e immagine").
Il Decalogo 1, considerato tra i dieci uno dei più riusciti, pone la questione della fede. Pur partendo da un punto di vista aconfessionale Kieslowski non salta i primi tre comandamenti (doveri verso Dio); egli pone così la questione iniziale di quale possa essere il fondamento che sta alla base delle proprie scelte di vita; come al solito non dà la risposta allo spettatore; gli formula piuttosto la domanda. Questo film è una domanda sull'esistenza di Dio e sulla sufficienza o insufficienza della ragione a dare risposta a tutte le domande, anche a quelle poste da un bambino.
Il soggetto del film
il professore universitario Krzystof vive a Varsavia (separato dalla moglie) con il decenne Pawel. Il piccolo ha ereditato dal padre la passione per i computer e manifesta doti di eccezionale intelligenza. Egli adora la zia Irene che, profondamente cattolica, risponde ad alcune sue domande sulla fede, domande che quando poste al padre, rimangono solo degli interrogativi, con elusive o insoddisfacenti risposte. Per il professore, la Ragione e la Scienza sono misura di tutto. Un giorno del duro inverno polacco i calcoli del computer offrono tutti i dati più certi circa la solidità della crosta ghiacciata di un laghetto cittadino. Pawel calza i pattini nuovi, dono di papà, e va a giocare….
Giudizio dell'ACEC
Il film asciutto e profondo, perfetto come taglio e per forza di immagini quanto a impatto, offre il raffronto tra il mistero della Divinità e della sua legge e la fragilità della scienza umana, eretta a regola di vita ed aperfezione di modelli. Tutte le domande poste al computer ricevono risposte immediate ed esatte, tutte, tranne alcune: quelle cui la innocenza infantile anela e che sfuggono alla logica dei calcoli e dei pulsanti. Sono l'irruzione e l'imponderabilità del Mistero nei programmi predisposti dall'uomo e la gravità degli eventi che ne conseguono, a sconvolgere il padre di Pawel. Vi sono nel film di Kieslowski molti piccoli eventi tradotti in simboli: una macchia di inchiostro colata da una boccetta autoversatasi, l'acqua dell'acquasantiera della Chiesa che al centro della pila si cristallizza. Il tema è altissimo e la regia crea come per miracolo una forte tensione che, pur nel realismo degli eventi quotidiani, dà prova di un rispetto innegabile per determinati valori, affrontati non da un cinema ideologico, ma da una mirabile scrittura, sollecita ad analizzare tutto ciò che di complicato alberga nell'animo e nei comportamenti degli uomini.
Kieslowski non fustiga, nè condanna, ma rigorosamente propone, forse riservando al proprio "io" creativo il disincanto della non speranza. Ne risulta un film sui limiti umani, che è al tempo stesso un gioiello di equiliblio stilistico. Particolarmente intenso e tenero il personaggio del piccolo Pawel; colui che pone domande essenziali, vittima innocente della superbia altrui.