Train de vie
C'era una volta....
Con queste parole comincia il film di Radu Mihaileanu. Un racconto che ha un sapore fiabesco. Protagonista assoluto il treno, come metafora del viaggio verso qualcosa o in fuga da qual cosa.
Per capire questa fuga forse bisogna stare attenti alle prime parole del film, pronunciate da Schlomo, il pazzo o scemo del villaggio (ruolo pensato in un primo tempo per Benigni), mentre lo si vede correre forsennatamente. Dice Schlomo: "Fuggivo, credevo si potesse fuggire da ciò che già si è visto, troppo visto...". E' questa probabilmente la stessa cosa in cui ha creduto il regista Radu Mihaileanu quando, dopo aver visto Schindler'slist, ha deciso di girare a modo suo un film sulla shoah, tutto questo in concomitanza a quello che faceva Roberto Benigni in Italia girando "La vita è bella". L'orrore messo in scena da Spielberg con la sua "lista di Schindler" aveva toccato il massimo. Dopo essersi sporcati troppo gli occhi nel presentare gli orrori delle deportazioni naziste, ora, fa intendere Mihaileanu, bisogna ripulirseli. "Come lavare gli occhi insudiciati, gli occhi che hanno visto troppo...", si chiede Schlomo sempre all'inizio del film. Lui fin dall'inizio fugge: ma da cosa? Lo sapremo veramente soltanto alla fine del film. Sarà la risposta all'altra frase iniziale: "Lo spazio non è più nei nostri cuori, e noi andremo a cercarlo altrove...". Train de vie è un film su questo "altrove", su questo altro spazio possibile per chi non ne trova più nel proprio cuore. E il treno è il mezzo per raggiungere questo luogo-altrove. Dentro questo treno c'è la storia dell'ebraismo con le sue ambivalenze storiche: da una parte l'accusa di Hitler agli Ebrei di essere dei Bolscevichi e contemporaneamente dei Capitalisti intrusi nel sistema economico europeo. Nel treno del film c'è anche l'amore, la famiglia, la tradizione religiosa del popolo ebreo, ma soprattutto il senso dell'umorismo. Gli ebrei di questo treno della vita, infatti, parlano una lingua, che, come dice uno dei protagonisti del film, è nient'altro che la parodia del tedesco con dentro l'umorismo: si tratta della lingua Yiddish, la lingua degli Ebrei del Centro Europa, lingua di una ormai piccola minoranza che presenta però scrittori della statura del premio Nobel Isaac B. Singer o del filosofo Martin Buber, autore, tra l'altro di una raccolta di racconti della cultura yiddish.
La cultura dei villaggi (shtetl) Yiddish è ironica, sferzante. E' la risposta polemica del regista ad un certo modo ebraico di trattare i fatti della Shoah.
"Quando vedo certi programmi televisivi cupi e noiosi sulla Shoah, quando sento i piantie i lamenti, penso sempre: se Hitler fosse vivo e vedesse questa roba, sarebbe felice. L'unica cosa con la quale possiamo umiliare i gerarchi nazisti che sono ancora vivi in Sudamerica, e farli imbestialire, è mostrare loro che siamo vivi, non ci hanno distrutti, che il nostro umorismo non è stato cancellato dalla loro barbarie" (da un'intervista a Mihaileanu).
L'inizio e la fine del film ripropongono il modo Yiddish di raccontare le storie. All'inizio: "Amol iz geven, C'era una volta". E alla fine: "S'iz an emese mayse, Questa è una storia vera". E il narratore, Schlomo, corrisponde allo schnorrer, che è una delle figure più tipiche della società e della letteratura yiddish. In principio era essenzialmente un saltimbanco e un musicista, ma anche un predicatore itinerante. Poi è diventato un cantastorie.
Nel film è lui il motore della storia, che da risposta alle domande del popolo del villaggio e che pone allo spettatore le grandi domande sull'esistenza.

SCHEDA SUL FILM
Genere: Allegorico / Regia: Radu Mihaileanu / Interpreti: Lionel Abelanski (Schlomo), Rufus (Mordechai), Clément Harari (il rabbino), Michel Muller (Yossi), Bruno Abraham-Kremer (Yankele), Agathe De La Fontaine (Esther), Johan Leysen (Schmecht), Marie-José Nat (Sura), Gad Elmaleh (Manzatou), Serge Kribus (Schtroul)
Nazionalità:Romania - Francia/ Anno di uscita: 1999/
Sogg. e scenegg.:Radu Mihaileanu/ Mus.:Goran Bregovic/ Dur.:103'
SOGGETTO
Una sera del 1941 Schlomo, chiamato da tutti il matto, irrompe allarmato in un piccolo villaggio ebreo della Romania: i nazisti, fa sapere, stanno deportando tutti gli abitanti ebrei dei paesi vicini e fra poco toccherà anche a loro. Durante il consiglio dei saggi, che subito si riunisce, Schlomo tira fuori una proposta un po' bizzarra che però alla fine viene accolta: per sfuggire ai tedeschi, tutti gli abitanti organizzeranno un falso treno di deportazione, ricoprendo tutti i ruoli necessari, gli ebrei fatti prigionieri, i macchinisti, e anche i nazisti in divisa, sia ufficiali che soldati....Il film, con la suasvolta finale, si conclude con una struggente canzoncina in Francese cantata da Schlomo, che dice pressappoco: "Sono partito un giorno in treno per andare lontano, per non incontrare gli occhi della gente. Quello che mi tiene ancora in vita è la sublime follia, il treno della vita".
LE FONTI
La storia del padre di Radu Mihaileanu. La Bibbia, i libri di storia, i libri fotografici (che non sono molti) sulla vita negli shtetl prima della guerra. Alcuni libri di filosofia -Levinas, Hannah Arendt.
GLI OBIETTIVI DEL REGISTA
1. Confrontarsi con la grande scommessa di far ridere parlando della più terribile tragedia del secolo e tentare di dare un seguito alla grande scuola dell'umorismo yiddish - quello di Singer, di Shalom Aleichem - che in Europa sta quasi scomparendo (sopravvive un poco in America, grazie a Woody Allen e a pochi altri come lui, soprattutto in teatro).
2. Rievocare la civiltà yiddish degli shtetl che è praticamente stata spazzata via dall'Olocausto.
3. Fare un omaggio a suo padre, raccontare - sia pure in modo indiretto - la sua storia.
LA CULTUTA YIDDISH
Shlomo è il depositario ultimo di una letteratura yiddish sognante, assurda, paradossale e autoironica, una letteratura che però affonda le sue radici nella cultura e nella spiritualità ebraica. Così scriveva il grande scrittore yiddish e premio Nobel per la letteratura Isaak Bashevis Singer:
"Appartengo a una tribù antica e so che la letteratura cresce al meglio quando si basa sul fondamento di una fede antica, di speranze e di illusioni eterne".
"La Kabbalah insegna che la prima parola della Bibbia, Bereshith, "In principio", si può anagrammare in tahev shir, "voluttà di canto", e che l'ultima, Israel, può trasformarsi in shir el, "canto a Dio": "Il mondo è stato creato per la voluttà di un canto e forse si riscatterà per un canto"." (Cineforum n.381)
E Train de Vie è anche, grazie alla colonna sonora di Goran Bregovic (compositore delle musiche di molti film di Emir Kusturica) un grande affresco sonoro, un lungo coro polifonico che accompagna il viaggio simbolico del popolo ebraico.