L'UOMO DEL TRENO (L'homme du train)

Genere: Drammatico
Regia: Patrice Leconte
Interpreti: Jean Rochefort (Manesquier), Johnny Halliday (Milan), Jean-Francois Stevenin (Luigi), Charlie Nelson (Max), Pascal Parmentier (Sadko), Isabelle Petit-Jacques (Viviane), Edith Scob (sorella di Manesquier), Maurice Chevit (il parrucchiere), Véronique Kapoian (la fornaia).
Nazionalità: Francia
Anno di uscita: 2002
Sogg. e scenegg.: Claude Klotz
Mus.: Pascal Esteve
Montagg.: Joelle Hache
Dur.: 90'
Soggetto: Francia, strade quasi deserte di una anonima cittadina la sera prima dell’ultimo giovedì di novembre. In una farmacia Milan, appena arrivato in treno alla vicina stazione, chiede un'aspirina che scopre essere effervescente. Nella stesso locale si trova Manesquier, anziano professore di lettere in pensione, che, all'uscita, lo invita a seguirlo per dargli un bicchiere d’acqua per la medicina. Milan, dopo aver trovato chiuso l’unico albergo della cittadina, tra molti silenzi e poche parole, ottiene ospitalità per la notte in una stanza della grande casa di Manesquier, piena di libri antichi, mobili, quadri. Milan non lo dice, ma è arrivato lì perchè fra tre giorni con alcuni complici rapinerà la banca locale considerata un facile bersaglio. Anche Manesquier, il sabato seguente ha un appuntamento che non rivela…
In quei tre giorni nasce una singolare amicizia…
Il film: “L’uomo del treno” ha partecipato alla Mostra Internazionale del cinema di Venezia nel 2002. Patrice Leconte, il regista, veniva da due film deludenti e la critica da lui non si aspettava molto. Invece il film è piaciuto moltissimo e i due protagonisti, Jean Rochefort e Johnny Halliday, sono stati a un passo dal premio come migliori attori, che poi è andato, politicamente, all’italiano Stefano Accorsi. In effetti il film si regge tutto sui due protagonisti, Milan (Halliday) e Manesquier (Rochefort): il primo, cantante, famosissimo in Francia e considerato uomo duro e tenebroso, l’altro, attore di teatro, immagine del francese colto e tranquillo. Incontrandoli insieme una sera Leconte ha pensato di avere già davanti una possibile sceneggiatura, e in effetti, essa è nata dalla penna di Claude Koltz come un abito da far indossare ai due attori, che danno la piacevole impressione di essere semplicemente se stessi.
Proprio questa diversità dei due fa partire il film come una commedia, per farlo entrare in una sempre maggiore tensione emotiva, questo man mano che, attraverso una regia assolutamente asciutta, lo spettatore li va conoscendo mentre essi stessi cominciano a conoscersi.

Un nostro commento: Il cinema europeo presenta delle caratteristiche che lo caratterizzano a livello regionale. Da un film del Nord Europa (Danese, Svedese) ci aspettiamo storie molto cerebrotoniche, tra politica e religione (protestante, naturalmente, Bergman, Von Trier). La Germania è filosofica, oppure onirica nella sua versione più mitteleuropea (Fassbinder, Wenders). La Spagna è tragica, ironica, estrema nelle passioni (Almodovar). L’Inghilterra predilige l’ambientazione storica (Ivory). L’Italia la commedia di costume e generazionale (Muccino, Piccioni). Se andiamo a vedere un film francese ci aspettiamo, chissà perché, un’ambientazione borghese con forti connotati psicologici e sociali. Pensiamo a Chabrol, Truffaut, Godard. Bene si inserisce in questo filone (senza naturalmente assolutizzare la sua connotazione francese) il film di Patrice Leconte, alto artigianato europeo con sceneggiatura dal sapore colto, tipico del vecchio continente.
La storia è semplice, anzi, da buon film psicologico, la storia non esiste. Esistono piuttosto due personaggi, due caratteri, studiati senza fretta, ma scavati con molta cura.
Milan porta con sé il suo mondo, rude, violento, silenzioso. Ma anche la nostalgia della calma, un desiderio improvviso di normalità borghese.
Manesquier vive in una enorme casa, con la carta da parati che cade a pezzi, piena di mobili e libri, e che contiene, come lui stesso dice, “il passato e la noia”, è logorroico, colto, ma soprattutto annoiato. Ormai in pensione tiene la porta della sua casa aperta, come se aspettasse una novità nella sua vita appassita. E’ un sognatore di tante avventure che non ha mai avuto, di tutto il sesso che non ha mai vissuto.
Il film sviluppa in maniera registicamente ineccepibile il confronto tra i due personaggi, con un crescendo drammatico verso qualcosa che potrebbe accadere, o forse no, forse si potrebbe evitare. Milan indossa le pantofole e imita il professore, Manesquier si immagina dentro rapine e duelli con le pistole.
Leconte gioca con i colori e con la musica. Colore freddo, blu, all’esterno, nel freddo invernale della quasi deserta cittadina, per Milan; e invece toni caldi all’interno della casa per il professore in pensione. La musica di pianoforte accompagna la vita nella casa, mentre accordi elettronici seguono Milan nei suoi passi all’esterno.
In questo misurato confronto dei due si insinua il tema classico del “doppio” che drammaticamente vive anche dentro di noi.

L'uomo del Treno
(Riflessione inviataci da una spettatrice presente al Cineforum)
Sin dall'inizio emerge la negazione degli aspetti reali dell'esistenza: la realtà ci assorda, ci colpisce duramente nelle immagini di apertura ( la musica la rappresenta emblematicamente ) ma scivola via portata lentamente altrove dal treno che riparte mentre, dall'incontro tra i due protagonisti, inizia per noi il lungo viaggio allegorico nel sogno, unica realtà possibile per l'uomo visto nella contrapposizione con la "storia" che ha finito per negarne la vera essenza.
E l'anima/casa è il luogo del sogno dove l'incapacità a vivere dà corpo ai desideri, l'anima con tutte le resistenze della cultura decadente, della poesia astratta, - che ha la capacità di stemperare la violenza della generazione passata ( vedi l'incontro con l'alunno al bar ) ma segno svilito a simbolo sterile che perde la sua capacità di linguaggio rispetto alla nuova ( lo studente che riesce a trovare con la cultura un punto di contatto solamente attraverso la mediazione offerta da Milan ) - unico luogo dove la contrapposizione all'annientamento è possibile mediante l'estraniamento.
Per questo la casa, sebbene fatiscente, straripante di tutti i simboli di una cultura ( sempre associata ad una musica contrapposta alle dissonanze stridenti che invece si sovrappongono agli esterni/realtà che ai suoni fanno da sfondo ) ormai negata ma radicata ( si interroga, di contro Milan non pone domande ), satura delle contraddizioni dell'individuo che la complessità di relazioni familiari e/non ( sterili come quello con la donna o oppressivi come quello con la madre, oppure ancora, superficiali come quello con la sorella e quanto veri? quale il peso delle convenzioni che hanno prevaricato il diritto alla vita, all'affettività ? ) non ha sottratto alla noia e alla solitudine ( la disgregazione attuale dei rapporti e della famiglia è invece rappresentata dalla diversa qualità della solitudine di Milan ), è l'unica dimensione dove il colore è ancora possibile, dove i riti si conservano e tutto ciò che appare residuo superfluo e inconciliabile con i valori di una società nuova dominata dall'efficienza e dalla tecnologia, costituisce invece l'unico tramite per il recupero dell' "anima" .
La morte è essenzialmente metafora : coincide con l' incapacità dell'individuo a scegliere liberamente, a contrapporsi all'ineluttabilità del destino ( l'intervento e la rapina ) che attende i due uomini al termine dei tre giorni ; ma nello stesso tempo è la prospettiva inevitabile per la civiltà attuale che nega ogni valore alla "storia" e all'individuo in favore esclusivo delle logiche economiche.
Ma è anche il luogo in cui i due sogni si sovrappongono, si intersecano, si scambiano rivelando che il protagonista è uno solo: l'uomo
I due sogni ( ed il sogno è possibile: non le stelle, non l'infinito si guardano dalla terrazza ) rappresentano la molteplicità delle possibilità di fuga da una realtà inconciliabile con la dimensione umana, ma anche di vite possibili in alternativa a quella che altri o il destino hanno scelto per noi.
Mediante le chiavi, infine, viene recuperata all'uomo la possibilità di intervento nella realtà: la libertà di scelta per divenire, attraverso l'esercizio dell'autodeterminazione, il protagonista reale della propria vita e tentare, mediante il superamento della morte/negazione, la riconciliazione con una realtà possibile per l'individuo...e riprendere così il viaggio in una realtà accompagnata dai colori, dai rumuori, dalla vita!
Tutte le riflessioni sulla vecchiaia, sull'infanzia negata dalle convenzioni, sul giardiniere a cui non è consentito l'accesso al sogno ( potrebbe anche essere un espediente alla Bergman: l'introduzione di un elemento reale per riportaci alla consapevolezza dell'irrealtà del sogno )...e quant'altro possa emergere ..... è riconducibile a mio parere alla contrapposizione tra sogno e realtà, tra alternativa possibile e processo irreversibile.... sottolineata dal contrasto tra silenzio e frastuono, tra lividità e colore, tra assenza e presenza, tra vuoti e pieni.